Il Signore Gesù afferma di non avere bisogno della testimonianza di Giovanni il Battista – infatti si rifà a più alti testimoni: le opere che compie, il Padre e le Scritture invano indagate dai suoi oppositori – eppure dice, proprio di lui, che “è una lampada”, luce a cui per troppo breve momento ci si è riferiti. Vorrei fermarmi un poco su questa caratteristica di Giovanni: essere lampada, cioè luminoso indicatore, riferimento, segno che orienta. L’immagine della luce così tipica del vangelo di Giovanni era intensamente espressiva dell’agire dello stesso Gesù; derivata da segni e consuetudini antiche nella Scrittura santa dell’Antico Testamento: su tutti la colonna di fuoco che guidava il popolo nel deserto, ancor oggi evocata, nella nostra liturgia, come simbolo del Signore Gesù risorto. Dunque, la luce: è certamente il Signore stesso. È lui meta e orientamento, della Chiesa tutta e del cristiano.
Eppure proprio lui dice noi luce; di noi proprio lo dice, solennemente, nelle prime battute del discorso del monte, subito dopo le Beatitudini. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5,16). Gesù certo non ha bisogno della nostra luce, la sua persona è luce. Il dono però di essere sua luce, sua presenza non serve a lui, ma a noi. Dichiara grande considerazione dell’uomo redento dal suo sacrificio: la grande dignità del cristiano che vuole davvero sua presenza.
Questo non vuole portarci a sovrastima – è sempre sua la grazia – sia piuttosto stimolo al nostro agire, senza scoramenti, ad avvertire il nostro ruolo, vera diaconia: servizio a donare significato al mondo. Non ha senso appartarsi dalla società in preteso unico rapporto col Signore. Il cristiano è proprio dentro al mondo per portare la luce dei propri valori nel continuo contrastato con le tenebre da sempre avverse a “quella Luce che veniva nel mondo”.
Don Gianbattista Milani
Parroco di Ballabio
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