DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE DELLA SESTA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Camminare verso Gerusalemme, per Gesù, non è un semplice girare per le strade della Palestina. È invece il frutto di una scelta ben precisa. Qualcuno la chiama “una svolta di vita”: Gesù ha scelto liberamente e consapevolmente di andare a Gerusalemme perché sapeva che si stava avvicinando il momento supremo della sua vita: tornare Padre ma passando attraverso la sofferenza, la morte e la risurrezione.

Un gruppo di dieci lebbrosi gli va incontro ma si ferma a debita distanza. Secondo la mentalità antica sanno di essere impuri, intoccabili, emarginati dalla vita dei villaggi e delle città. Ma tutto questo ha anche un lato spirituale: sentirsi lontani da Dio perché si sa di essere peccatori, magari colpevoli di qualche peccato di cui non si è neppure a conoscenza. Vedendo Gesù, questi lebbrosi semplicemente chiedono pietà! E Gesù ha tanta pietà per loro che sono ammalati, rifiutati dagli altri, si sentono lontani da Dio, non possono lavorare, non hanno famiglia, non possono andare alla sinagoga. Quell’ordine: “Andate a presentarvi ai sacerdoti” equivale a dire: “Siccome siete già guariti, andate dai sacerdoti a far vedere la vostra guarigione e loro vi autorizzeranno a riprendere la vita normale”. Era come ricevere un certificato di guarigione. Loro vanno dai sacerdoti obbedendo all’ordine di Gesù e per via si trovano guariti. Con quel gesto di obbedienza si sono dimostrati tutti brave persone. E questa sembra una storia bella e a lieto fine. Hanno chiesto pietà e l’hanno ottenuta e tutti sono veramente felici.

Eppure c’è qualcosa di nuovo e anche un po’ strano. Un uomo non era in tutto come gli altri: oltre ad essere malato di lebbra era anche un Samaritano. Aveva due motivi, non uno, di essere tenuto a distanza e non accolto. Sembra che a quest’uomo non interessi niente del certificato di guarigione e di essere riammesso alla vita degli uomini normali. Non va dai sacerdoti, e così disobbedisce all’ordine di Gesù che chiedeva di adempiere quello che era scritto nella Legge di Mosè. Torna da Gesù e si prostra davanti a Lui, “ai suoi piedi, per ringraziarlo”. Quest’uomo ha avuto una intuizione speciale e ha seguito l’istinto del suo cuore che gli diceva: questo Gesù è qualcuno di veramente speciale! È Lui che mi ha guarito! Mentre gli altri erano concentrati sulla guarigione e sulla ripresa di una vita normale, guidata da un doveroso rispetto delle leggi, questo Samaritano ha orientato la sua attenzione e il suo cuore verso la persona di Gesù. E il suo mettersi in ginocchio per ringraziarlo esprime qualcosa di più di una semplice riconoscenza. Esprime l’intuizione che tra Gesù e Dio, il Dio dei padri, c’è una relazione specialissima. È l’inizio di un cammino che un giorno si completerà e che Gesù stesso riconosce quando dice: “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato!”.

Quando una persona incontra Gesù come amico e maestro è una persona salvata. Gli altri sono solo guariti o sono persone che stanno bene godendo di una buona salute. Tutte cose buone e augurabili a tutti ma anche un po’ precarie. Prima o poi vengono meno. Ma non si parla di salvezza. È salvo solo chi incontra Gesù! Quando si incontra Gesù si incontra la pienezza di vita, una vita che va oltre anche la morte e questo ci fa vivere nella speranza. Certo, rimane il timore della morte ma lo si vive nella speranza di entrare nella vita eterna. Quando si incontra Gesù si incontra la strada che conduce a Dio che ha voluto donarci il suo Figlio che via per incontrarlo. E quando si incontra Dio si ha tutto. Quando si incontra Gesù si incontra l’amore vero e totale, e noi sappiamo che è solo con l’amore si vive nella pienezza della gioia e della pace. E la storia di quel Samaritano, di cui non ci è stato tramandato il nome, ci insegna che il primo passo per incontrare Gesù è quello di considerare tutto il bene che nella sua bontà ha fatto a noi!


Don Benvenuto Riva

Parroco di Ballabio e Morterone

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