L’INTERVENTO/LUCA ROTA: “PIANI RESINELLI, SPLENDORE E TRASCURATEZZA”

Qualche giorno fa sono tornato ai Piani Resinelli, passeggiando da “turista della domenica” per la località attraverso i percorsi più frequentati, e l’impressione che ne ho ricavato da quelle ore trascorse lassù è sostanzialmente la stessa che ho elaborato altre volte: quella di stare in un terreno aurifero nel cui mezzo è incastonato un diamante di purezza assoluta ma sempre troppo impolverato e trascurato al punto da non brillare come potrebbe. Oppure, per usare un’altra immagine metaforica, una galleria d’arte ricca di opere di gran pregio e con al centro un capolavoro assoluto, ma frequentata come fosse un supermercato o una sagra paesana e popolana.

Invero i Piani Resinelli sono una specie di straordinario capolavoro geografico: un luogo meraviglioso, dotato di un paesaggio eccezionale e di un’anima profondamente alpestre, che suscita percezioni di ambiti montani lontani e ben più vasti e vibra di un’energia che fluisce giù dalla sempre sorprendente Grignetta, scultura dolomitica la cui visione lascia inevitabilmente a bocca aperta – anche alla milionesima veduta come nel mio caso – e potente manifestazione materiale del Genius Loci, permeando vitalmente ogni angolo dei Piani. E tutto ciò, a pochi km in linea d’aria (e qualcuno di più su strada) dalla città di Lecco e dalla sua caotica dimensione urbana, già pienamente da hinterland di Milano. Vai sul Coltignone, il monte il cui corpo sorprendentemente ambiguo (dolci versanti di boschi e prati a nord, scoscendimenti e precipizi verticali a sud) separa i Resinelli dal bacino del lago di Lecco e del fiume Adda e, se ti giri da una parte, vedi la gran distesa di cemento che dai suoi piedi di estende verso Milano, mentre se ti volti dall’altra dalla prima subito te ne distanzi moltissimo e godi dell’immagine della montagna più autentica e per molti versi “selvaggia” (le innumerevoli guglie della Grignetta aiutano molto a suscitare questa fantasia), come se già fossi chissà dove sulle Alpi e chissà quanto lontano dalla civiltà. Che invece è lì ai tuoi piedi, al punto da udirne costantemente il minaccioso rumore bianco di sottofondo.

Tuttavia, come dicevo, quando salgo ai Resinelli mi sorge sempre l’impressione che resti un luogo sottovalutato, non compreso nelle sue autentiche peculiarità, trascurato ovvero del quale si continua ad avere un’idea impropria, decontestuale.

Un’impressione che viene inevitabilmente alimentata anche dalla considerazione di come la località sia gestita politicamente e amministrativamente – ne ho scritto più volte al riguardo, in passato: i Resinelli sono il luogo che nel lecchese più presenta problemi di sovraffollamento turistico – ma per la gran parte è un turismo del fine settimana, «mordi e fuggi» come si dice, che al netto di ciò che può spendere nei bar/ristoranti dei Piani non apporta alcun valore proficuo al luogo e al suo paesaggio ma anzi lo consuma inesorabilmente. La vicinanza alla “civiltà” rende pressoché inevitabile questa realtà ma non per questo la deve trasformare in un motivo di massificazione irrefrenabile della frequentazione del luogo, di un far numeri e quantità a più non posso (spacciandoli per una prova del “successo” turistico della località) trascurando quasi del tutto la qualità che invece la bellezza e la particolarità dei Piani Resinelli imporrebbe. Lo scorso anno mi irritò non poco – e ne scrissi sui media locali – il fatto che, a fronte della eccessiva presenza di auto nei fine settimana e della conseguente carenza di posti auto (peraltro resi a pagamento da maggio 2023), qualche amministratore locale propose di cercare nuove aree da adibire a parcheggio. Ma come?! Già le auto invadono ogni metro quadro occupabile al punto da far sembrare certi angoli dei Piani Resinelli l’area esterna di un grande centro commerciale della periferia milanese, e invece di liberare il luogo da questo cappio soffocante (e inquinante, e degradante, e bruttissimo) ancora si pensa di portarcene sempre di più? Ecco, questo è un esempio tra i numerosi possibili che a mio modo di vedere denota una visione del luogo, da parte di chi ha la responsabilità della sua gestione, superficiale, sottovalutante, trascurata e, se posso dire, anche un po’ offensiva.

Di contro, salendo fuori dai periodi di maggior sovraffollamento, magari in una giornata un poco uggiosa con un Sole assai pallido (condizione fascinosa che per molti aspetti esalta il luogo, ma notoriamente non apprezzata dal turista medio) e dunque senza la distesa quasi uniforme di autovetture in vista e il massiccio passeggio di gitanti che pare d’essere in centro a Milano, la sensazione è appunto quella di un luogo un po’ lasciato a se stesso, con la sublime Grignetta tenuta lì in disparte, suggestivo sfondo per simpatici selfies ma per il resto poco considerata, come fosse una montagna uguale a tante altre – cosa che qualsiasi autentico appassionato di montagne del pianeta Terra sa essere una gran falsità: basti constatare lo stato dei sentieri che salgono sulla Grignetta per capire indubitabilmente ciò che voglio dire (spoiler: lo stato è pessimo, anche per la prolungata mancanza di manutenzione) oppure, ai suoi piedi, ad esempio l’assenza quasi totale di cartelli escursionistici che suggeriscano ai visitatori le più belle mete dei Piani Resinelli e dei loro dintorni raggiungibili a piedi – anche senza essere degli escursionisti esperti. Tutto ciò senza contare la presenza in loco di opere da “luna park alpino” non solo inutili al godimento della bellezza del luogo ma pure inevitabilmente degradanti per esso oltre che visivamente brutte: altro segno di una visione turistica dei Resinelli sovente superficiale tanto quanto omologata a modelli risaputamente rovinosi – ma funzionali allo spendere rapidamente i finanziamenti pubblici e fare “risultato”. E perché poi l’ufficio turistico in loco deve restare chiuso per buona parte dell’anno, aprendo solo nella “bella stagione” nonostante anche quella “brutta” sia bellissima e assolutamente affascinante, ai Resinelli, senza contare che anche in pieno inverno di gente che sale per godersi una giornata all’aria aperta ce n’è eccome? Perché non organizzare iniziative anche nei mesi tardo-autunnali e invernali che permettano la scoperta e la conoscenza delle innumerevoli bellezze dei Piani?

Perché considerare il luogo solo come una meta «esotica di prossimità», per usare la significativa espressione coniata da Annibale Salsa, cioè come una specie di giardino pubblico urbano un po’ più distante degli altri dal centro città (dunque conseguentemente fruiti) e non invece per ciò che i Piani Resinelli sanno offrire di ben più culturalmente “spesso” e di valore, ad esempio riguardo i temi dell’educazione ambientale, dell’approccio consapevole al territorio montano, della trasmissione di conoscenza e consapevolezza riguardo gli ambienti e i paesaggi naturali prossimi alle aree più antropizzate e per ciò forse i più importanti a nostra disposizione?

Insomma, avete sicuramente capito cosa intendo dire. Qualcuno potrebbe anche ritenere che sia meglio così, che se i Resinelli restassero in questo stato piuttosto brado invece di subire una ancor maggiore turistificazione, per quello che spesso ciò comporta di deleterio come le cronache al riguardo raccontano, si manterrebbero meglio e più a lungo salvaguardandosi dal turismo più tossico. Può ben essere così, certamente; d’altro canto un luogo così bello, così prezioso e ricco di narrazioni montane, naturalistiche, paesaggistiche, geografiche, alpinistiche eccetera da poter ascoltare, credo sia un peccato che resti inascoltato, trascurato ovvero, come ho detto, fruito tramite modalità superficiali e massificate poco o nulla in relazione con il luogo, le sue peculiarità e parimenti ben poco in grado di apportare un autentico valore e un beneficio ad esso a favore del suo futuro. Ribadisco; è come avere tra le mani un tesoro inestimabile continuando a non capirne la bellezza e il reale valore e per questo utilizzandolo come fosse un bene qualsiasi, qualcosa da usare per quel che si pensa possa servire e per il resto amen, arrivederci e grazie. Un vero peccato che per certi versi diventa una sconcertante colpa, senza alcun dubbio.